PIU’ DORMI E MENO FIBRILLI – ECCO UN INTERESSANTE STUDIO
Che dormire bene giovi alla salute è conoscenza nota. In passato l’insonnia era già emersa come un possibile fattore di rischio per la comparsa di cardiopatia ischemica. Una nuova ricerca pubblicata su JACC dello scorso settembre (1) mette ora in evidenza un rapporto anche tra sonno e fibrillazione atriale. I ricercatori della Tulane University guidati da Xiang Li hanno esaminato alcune caratteristiche del sonno di 403.187 persone incluse nell’UK Biobank, il grande database del Regno Unito che contiene informazioni genetiche e sanitarie su mezzo milione di britannici.
I partecipanti allo studio hanno completato un questionario relativo a 5 variabili connesse al loro comportamento durante il sonno: cronotipo (tendenza ad andare a letto presto o a svegliarsi tardi), durata del sonno, presenza di insonnia, russamento, presenza di sonnolenza durante il giorno. Ognuna di queste variabili otteneva un punteggio di 1 se espressione di comportamento virtuoso (dormire presto ed a lungo, non russare, non soffrire d’insonnia o di sonnolenza diurna) o, invece, di 0 se associato a carattere negativo.
Un punteggio totale di 4 o 5 era indice di un modello di sonno sano, un punteggio di 2 o 3 esprimeva un pattern di sonno intermedio e un punteggio di 1 o 0, infine, connotava una tipologia di sonno scadente.
La progressiva riduzione di tale punteggio si associava ad un parallelo aumento dell’incidenza di fibrillazione atriale. Il sonno “sano”, infatti, era significativamente associato a un minor rischio di fibrillazione o flutter atriale (hazard ratio [HR], 0,71; 95% CI, 0,64 – 0,80) ed anche ad una minore probabilità di bradiaritmie (HR: 0,65; 95% CI, 0,54 – 0,77), con una riduzione, quindi, del 29 e, rispettivamente, 35%. Tale relazione si è confermata anche dopo l’aggiustamento per i fattori demografici, di stile di vita e genetici. I ricercatori non hanno invece documentato alcuna relazione tra le caratteristiche del sonno e la comparsa di aritmie ventricolari.
Lo studio presenta indubbiamente molte limitazioni e non permette di stabilire un nesso di causalità tra disturbo del sonno e fibrillazione atriale, suggerendo al più solo una possibile associazione tra le due entità. Bisogna infatti anche considerare che la cattiva qualità del sonno potrebbe in realtà essere a sua volta l’epifenomeno di altre condizioni sottese, ad esempio un disturbo dell’umore o uno stress psicologico, che potrebbero essere le vere responsabili dell’aumentato rischio aritmico. Ciò nonostante l’associazione che emerge tra disturbi del sonno e fibrillazione atriale è molto suggestiva.
Nell’editoriale di accompagnamento dello studio Alan Kadish e Jason Jacobson, entrambi del New York Medical College, hanno giustamente messo in evidenza come la ricerca presenti in maniera esemplificativa i punti di forza e di debolezza di uno studio condotto esaminando una vasta popolazione inclusa in un banca dati. Il punto di forza è, ovviamente, la numerosità del campione considerato. La debolezza alberga invece nella schematicità dei dati raccolti: non erano ad esempio disponibili informazioni relative al tipo e alla durata della fibrillazione atriale, alla gravità delle bradiaritmie e, infine, alla tipologia di aritmie ventricolari prese in considerazione.
In ogni caso, in attesa di uno studio capace di dimostrare che il miglioramento della qualità del sonno riduca il burden aritmico nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, la raccomandazione di dare la dovuta attenzione al riposo notturno non sembra comunque superflua.